Riyoko Ikeda
"Le Rose di Versailels ed io"
La carta sottile fruscia tra le dita, un suono familiare, quasi sacro. L'odore è quello di sempre, un misto di inchiostro, colla e avventura che sa di pomeriggi passati a sognare. Sfoglio le pagine de "Le Rose di Versailles" per l'ennesima volta, ma stasera è diverso. Ogni vignetta, ogni linea, ogni sguardo di Oscar François de Jarjayes sembra vibrare di una nuova energia.
I suoi occhi, fieri e malinconici, mi fissano dal bianco e nero della pagina. Rivedo il suo duello con la spada, la sua lealtà incrollabile, il suo amore tormentato per André. Rivedo la fastosa e tragica corte di Maria Antonietta, i complotti, le lacrime, le rivoluzioni. Non sono solo disegni. Sono frammenti di un'anima, pezzi di un mondo che ha preso vita decenni fa e che non ha mai smesso di pulsare nel cuore di chi, come me, l'ha amato.Ma stasera, ogni pagina sembra un passo in più verso un incontro atteso da una vita. Sul tavolo, accanto al manga, c'è il biglietto. Un semplice pezzo di carta stampata che racchiude una promessa incredibile: domani vedrò Riyoko Ikeda.
L'emozione è un'onda che cresce, un'attesa che toglie quasi il respiro. Penso a quella mano. La grande mano della Sensei. La mano che, con un pennino e della china, ha tracciato il destino di Oscar, ha dato forma al suo coraggio, ha impresso sulla carta la sua fragilità e la sua forza. La stessa mano che ha tessuto intrighi e passioni, che ha disegnato le uniformi militari con la stessa grazia con cui ha dipinto gli abiti da ballo di Versailles.
Come sarà vederla dal vivo? Lei, la creatrice, la divinità umana dietro al mondo che ho esplorato così tante volte. Sentire la sua voce, ascoltare i suoi pensieri, forse scoprire un frammento dell'ispirazione che ha dato vita a un personaggio così iconico ed eterno. Non è solo l'incontro con un'artista, è quasi un pellegrinaggio. È come poter finalmente guardare negli occhi la persona che ha costruito una delle stanze più importanti della tua (mia e nostra) immaginazione.
Chiudo l'albo, con delicatezza, come se fosse una reliquia. Le immagini rimangono impresse nella mente. L'attesa si mescola alla gratitudine per tutto ciò che quelle pagine mi hanno donato.
Vorrei essere lì, il 30 ottobre non solo per vedere la mangaka ma la mano che ha creato l'eroina per eccellenza. La mente che ha scolpito l'icona dell'essere donna. E per un istante, in quella sala conferenze, saremo tutti figli della stessa matita, uniti da un filo invisibile che lega il suo genio al nostro cuore di lettori.
Al Tamagawa Seseragi Hall dalle ore 14 alle 15.30 accadrà tutto questo. Riyoko Ikeda terrà la sua conferenza per parlare de Le rose di Versailles, di Oscar, Maria Antonietta e di
"tutte le donne che con forza e bellezza hanno vissuto in tempi di grande agitazione".
svaniti, polverizzati in un istante, lasciando innumerevoli speranze appese a un filo. Non è un dato logistico, è la prima, potentissima misura dell'eco di una leggenda. Per i 392 fortunati che stringono in mano quel biglietto, non è un semplice ingresso: è un pass per un santuario, un invito a un rito a cui il resto del mondo non potrà assistere.
Il titolo stesso della conferenza, sussurrato come una confidenza, è una promessa: “Le Rose di Versailles e Io”. Quel pronome, "Io", è la chiave di tutto. Non sarà una lezione accademica sulla Rivoluzione francese o un'analisi distaccata della sua opera. Sarà una discesa nel cuore dell'artista, un viaggio simbiotico tra la creatrice e la sua creatura più amata. È Riyoko Ikeda che si mette a nudo, che invita a scoprire come la sua vita – la sua militanza giovanile, la sua passione per la filosofia, la sua anima di cantante lirica – abbia dato sangue e lacrime a Oscar, André e Maria Antonietta.
E il luogo scelto per questa confessione è un piccolo teatro da meno di quattrocento anime, la Tamagawa Seseragi Hall. Una scelta che sa di intimità voluta, quasi cercata. In un'era in cui potrebbe riempire stadi, la Sensei sceglie un salotto, un cenacolo. Non vuole un'orazione, vuole un dialogo. Vuole guardare negli occhi chi l'ascolta, sentire il respiro della sala, creare un filo invisibile e potente con quella manciata di devoti. È questo desiderio di vicinanza, questo lusso dell'esclusività, ad aver reso l'evento così disperatamente agognato.
Dentro quelle mura, per novanta minuti, il tempo si piegherà. La Ikeda non parlerà solo del passato, ma costruirà un ponte ardito fino a noi.
Prenderà per mano l'inquietudine di Oscar, la sua lotta contro un destino imposto, la sua ricerca di identità al di là del genere (restando emre donna), e la proietterà sulle sfide delle donne di oggi, nell'era Reiwa.
Non sarà nostalgia, ma un'affermazione di sconcertante attualità.
Ci dirà che Oscar non è un'eroina del Settecento chiusa in un libro, ma uno specchio che ancora riflette le nostre battaglie.
Vero, verissimo!
E poi, arriverà il momento più sacro: l'angolo delle domande, lo shitsumon kōnā. In quella sala, il confine tra mito e persona si assottiglierà. Una voce si alzerà dal pubblico, e la Maestra risponderà. Un dialogo diretto, un istante irripetibile in cui la creatrice di un mondo si fermerà ad ascoltare le creature che lo hanno abitato con la fantasia.
Tutto questo non accade per caso.
Il 2025 è l'anno della rinascita, di una tempesta perfetta che ha riportato Versailles al centro dell'universo.
Certo, a gennaio la potenza visiva dello studio MAPPA ha scatenato un'onda d'urto, riportando Oscar sul grande schermo e infiammando l'interesse di una nuova generazione. Eppure, per chi conosce a memoria ogni sospiro di Versailles, quell'onda ha lasciato sulla riva un sapore agrodolce. È l'amarezza di un sogno magnifico, forse tradito dalla fretta, costretto a correre nei confini stretti di un unico film quando l'anima epica dell'opera ne chiamava almeno tre per poter respirare.
Una scelta che, si percepisce, non profuma di arte, né della volontà della Sensei o della sua regista, ma del freddo calcolo dei numeri. Ahimè, è il sospiro di fronte alla scarsa fiducia di un mercato che, incredibilmente, sembra ancora non voler scommettere fino in fondo sulla Regina, preferendo un guadagno sicuro al capolavoro che avrebbe potuto essere.
E così, nel cuore di chi ama quest'opera, rimane il desiderio ardente per ciò che non è stato: non solo una trilogia, ma magari una nuova, sontuosa serie anime, libera di esplorare ogni anfratto della storia. O persino quel sogno proibito, un live-action FATTO BENE, con la cura, il budget e il rispetto che solo un'opera immortale meriterebbe.
Ma chissà... in futuro ;)
Da aprile, il nuovo film di anomazione serie storica del '79 è approdata su Netflix, rendendo il classico accessibile con un click, un rito di passaggio per neofiti e un commovente ritorno a casa per i fan di sempre.
La conferenza del 30 ottobre è il cuore pulsante di questa tempesta. È il punto in cui tutta questa energia, antica e nuova, converge. I biglietti esauriti non sono che l'onda d'urto di questo Big Bang culturale.
Quel giorno, mentre le porte della Tamagawa Hall si chiuderanno, non si celebrerà solo un manga. Si assisterà a una leggenda che riprende possesso della sua eredità, che la interpreta per il presente e la proietta nel futuro. E per tutti gli altri, fuori da quelle porte, non resterà che immaginare la magia di quel momento, ascoltando l'eco immortale della storia di una donna, di una rosa, di una rivoluzione.
Con il cuore sarò lì. Tra le mani la mia copia di Versailles no Bara. L'emozione è indescrivibile.
Grazie, Sensei. Semplicemente, grazie.
E a voi piacerebbe esEere lì? Cosa le chiedereste?
#ladyosacr #versaillesnobara #theroseofversailles #roseofversailles


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